MARCEL PROUST
Giuseppe Scaraffia ha dedicato buona parte dei suoi studi all’opera proustiana per eccellenza, la Recherche. In questo saggio ampiamente illustrato con foto d’epoca disegna un ritratto dell’autore francese che rompe molte categorie di genere. Questa infatti non è solo una biografia, né tantomeno un testo di pura invenzione letteraria, ma supera ogni confine diventando esso stesso una ricerca, e restituisce tutta la grandezza e la complessità di questo sforzo: una lettura che permette d’entrare nella vita del più grande romanziere francese del primo Novecento, la cui figura è ancora capace di affascinare i lettori di oggi.
È leggendaria l’abilità mimetica di Proust, la sua capacità di tramutarsi perfettamente nel personaggio preso di mira. In questi ritratti orali, Proust diventava l’altro, assumendone i gesti, i tic e la voce. All’interno della finzione Proust si sdoppiava e partecipava interamente dell’essere imitato, pur conservando la lucidità necessaria a evidenziarne il ridicolo. La memoria dell’imitatore è una pellicola infinitamente sensibile e dolente, in cui le impronte adunche degli aggressori umani scavano dei solchi, un messaggio cifrato, ma precisissimo, che si scioglie solo nell’atto di riprodurlo. L’imitazione è allora un atto liberatorio nel momento stesso in cui la sua straordinaria precisione rivela la profondità ferita dell’impronta. Ricreando la feroce risata e il gesticolare magniloquente di Montesquiou, la sua esibizione più riuscita, Proust “era” l’aggressivo nobiluomo e l’ilarità che provocava era dovuta soprattutto al fatto che Proust, per quanto perfetto fosse, non era il perfido conte.
La risata dello spettatore esprime il suo sollievo di essere sopravvissuto al mostro mimato, e l’imitazione è l’avvincente resoconto dello scampato.
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